Un sacco di mesi.

Sono un sacco di mesi che non scrivo sul blog. In realtà sono un sacco di mesi che non scrivo affatto e questa cosa non va bene. Lo dico io e lo direbbe anche un terapeuta.

Scrivere è l’unico modo che abbiamo per buttare via una cosa perché, in definitiva, tutte le orecchie ci ascoltano ma nessuno capisce davvero. Quasi mai.

Sono giorni di liti, di pesantezze, di salite, di cose che non si sbloccano, di promesse non mantenute, di progetti fatti e poi mandati all’aria, di malesseri fisici che diventeranno cronici se continuerò ad ignorarli; sono giorni in cui l’unica cosa che mi viene da pensare ogni mattina è “che bello,sono viva, grazie!….però posso rimanere a letto tutto il giorno e non parlare con nessuno?”.

Questo il mood.

Io non sono una pessimista. Non lo sono mai stata anche perché, a pensarci bene, sfido chiunque a sopportare quello che ho sopportato io senza diventare un depresso cronico. Invece no.

Il più delle volte sorrido, mi dico sempre “futtitinne” – e me lo dico in siciliano così funziona di più – e vado avanti, come nel gioco a premi. Rifiuto la negatività e vado sempre avanti. Però, nonostante questo, mi gira il cazzo e non poco.

Vedo coppie – bellissime e non – resistere a tutto come se tristezze, liti, corna, figli molesti, mancanza di denaro, parenti serpenti o tutto il cucuzzaro non li toccasse affatto, come se fossero colonne di cemento armato indistruttibili e questo mi procura invidia ma anche curiosità, come se fossero specie aliene. Chissà qual è il segreto e, se c’è, perché non lo commercializzano?

Vedo gente non valere niente, lavorare. E guadagnare anche anche un sacco di soldi. Lasciando a casa chi meriterebbe di stare al posto loro.

Vedo persone fare vacanze ed acquistare case o oggetti e mi domando sempre come sia possibile, come se non avessero conti in banca ma pozzi di petrolio senza fine. Il ” non arriverò a fine mese” esiste solo per me?

Vedo uomini adorabili crepare e pezzi di merda rimanere in vita.

Vedo profondissime ingiustizie galleggiare  e bellissime leggerezze andare a fondo. Come se a questo mondo non contasse più proteggere niente.

E poi vedo me che sono una cosa meravigliosa e rara e preziosa fare una fatica immensa. E si, me lo dico da sola!

Perché questa storia che se uno è bravo o bello o educato o simpatico o gentile o perbene o colto o di buona famiglia o dolce o onesto deve sempre fa finta che “no no, ma che dici, non lo sono affatto “ deve finire. Perché se si è una bella persona va sottolineato. Perché sono sempre meno, perché non è più un valore.

Io lo sono. Non perché me lo dicono ma perché, quando mi guardo allo specchio, sento di aver fatto bene, nonostante gli errori che ho pagato (e pago) e con tutte le mancanze.

C’è di buono però che sono incazzata e la rabbia è un motore fortissimo per sconfiggere qualsiasi cosa.

Perché il dispiacere aiuta a non cedere, non ti fa vacillare, ti fa rimanere in piedi, non ti fa abbassare l’asta di qualità che hai imposto alla tua vita. L’ira è la benzina che ti brucia dentro per essere sole fuori.

Sono un sacco di mesi che non scrivo sul blog, ma sono incazzata.

E questa è la mia fortuna.

Nonno.

A casa di mio nonno, in via Marche (regione che non so per quale strano arcano è sempre stata presente nella mia vita) c’era un angolino magico, magico per me. Sul telaio della porta della sua camera da letto annotava le altezze di noi nipoti. Decine e decine di piccoli segni con data e nome: mio fratello, i miei cugini, la mia.

Io, che ero la più piccola di tutti, non li raggiungevo mai. Passavo le giornate ad accarezzare quelle incisioni e mi dicevo “ fra un po’ arrivo anche io” e gli altri diventavano sempre più grandi ed io ero sempre la più piccola. Poi sono diventata la più alta di tutti ma questa è un’altra storia.

Mio nonno era un uomo bellissimo e dolce. Faceva tante cose buffe e divertenti per noi nipoti. Registrava le nostre voci ad esempio. C’erano centinaia di cassette con le nostre prime parole, le risate, i pianti, tutte in ordine per anni. Me le ricordo bene, dentro quegli astucci lunghi, tutte in ordine cronologico. Evidentemente doveva tenerci parecchio.

Non amavo dormire da nonni, forse perché ho sempre amato casa mia, il mio letto, dividere la stanza con mio fratello ed il dito che mi allungava la notte per farmi stare buona e le mie abitudini però c’era una cosa che adoravo quando restavo da loro ed era la colazione. 

La mattina presto, mia nonna Virginia portava il vassoio con il latte e 4 fette biscottate a Luigi (così si chiamava); dal mio lettino ai piedi del loro letto, balzavo dentro il lettone, mi mettevo accanto a lui ed iniziava questo gioco: lui faceva finta di ignorarmi, inzuppava la fetta, faceva finta di morderla e poi, di colpo, si girava verso di me e la faceva mordere a me. Così per tutte….rinunciava alla sua colazione e mangiavo solo io. Nonna non entrava mai a guardare, era uno dei nostri segreti.

Come il profumo sui capelli.

Quando la mattina finiva di prepararsi veniva da me e mi metteva la sua colonia in testa, mi passava la mano tra i riccioli e poi mi baciava la testa. Ecco, se chiudo gli occhi, io sento le sue mani e sento quel profumo, come se fosse adesso.

Era un uomo elegante, sempre in giacca e cravatta, sempre in ordine, con la barba sempre fatta. Credo di non averlo mai visto dismesso, era bello anche in pigiama e vestaglia, era bello anche quando con le galosce innaffiava con mio padre i campi della villa in campagna e ridevano e giocavano con l’acqua. Era bello quando ci mettevamo seduti sulla sedia a dondolo e mi raccontava la storia, la storia dei libri, senza farmela pesare, come se fosse una favola. Era bello quando mi veniva a prendere a scuola, si metteva all’angolo, mi aspettava e mi diceva “ti compro la pizzetta e non lo diciamo a nessuno”. Era bello sempre. 

Avevo 15 anni quando è morto Luigi.

Era il ritorno dal mio primo viaggio in America. Ci ha aspettato per un mese e 5 giorni. Ha aspettato di vedere le nostre facce felici dopo una vacanza Coast to Coast, dopo decine di telefonate dove noi ridevamo e lui diceva “siete dei pazzi, siete miracolati” ma in fondo, io lo so, rideva anche lui. 

Era settembre.

La vita per nessuno di noi è stata più la stessa senza di lui. Nè quella di mia nonna, né quella di mia madre, né quella di mio fratello, né quella di mio padre che l’ha adorato come se fosse suo figlio.

Non so neanche perché, in quest’alba piovosa, ho pensato a lui. O forse lo so. Perché di uomini straordinari, che fanno cose speciali per gli altri, io sento la mancanza.

Perché tutte vorremmo avere chi ci accarezza i capelli con il profumo o chi ci dice “non ti preoccupare” o chi ci regala un sogno.

Perché lui era un uomo che non si è mai arreso, che non ha mai detto “rinuncio”, un uomo che non ha mai lasciato la mano. A nessuno di noi. Un po’ come mio padre, che è esattamente lo stesso tipo di capofamiglia. Presente con garbo, vicino con discrezione, forte con dolcezza. 

Ecco, in questa mattina ancora buia, io penso a lui. 

E penso che voglio invecchiare con un uomo così e se non posso averne uno così starò da sola perché, una cosa mi ha insegnato “finché non hai bisogno di nessuno, sei una donna libera”.

Grazie Luigi.